Storia di Verona: la battaglia per i nomi delle vie
L’usanza di dare nomi alle vie era pressoché inesistente prima di metà settecento e con l’arrivo dei francesi e del sistema napoleonico si iniziarono a numerare le abitazioni e a dare dei nomi ufficiali alle strade. Prima era un casino, praticamente se dovevi spedire una lettera al signor Maffei scrivevi il suo nome e speravi che il postino sapesse dove recapitarla.
In realtà, molte strade avevano già dei nomi non ufficiali che richiamavano le attività esistenti in quel posto: via dei pellicciai, via farina, su via seghe invece non è dato sapere cosa si facesse. Ma appunto erano dei nomi non ufficiali, erano dati dalla popolazione e tramandati per tradizione orale. Solo dopo la breve esperienza napoleonica il catasto pretese nomi ufficiali delle vie e numeri civici. Un bel lavoro per i creativi dell’epoca, che dovevano in alcuni casi riportare ed ufficializzare i nomi tradizionali, in altri casi inventarsene di nuovi proprio da zero. Di solito in crisi creativa si ricorreva ai santi. Tanto di quelli che ne sono sempre.
Ma la cosa più interessante, a tratti comica, è l’esperienza post-unitaria di Verona, nel periodo che va appunto dall’annessione di Verona al Regno d’Italia (1866) fino allo scoppio della prima guerra mondiale nel 1915. Il clima politico che si respirava era decisamente riformista e laico: ricordiamo che l’Unità d’Italia venne compiuta a spese dello Stato Pontificio che a causa di questa cessò di esistere, e che successivamente alla presa di Roma il Papa, dopo aver scomunicato praticamente chiunque, emanò la Non expedit, l’invito (si fa per dire) a tutti i cattolici d’Italia a non partecipare alla vita politica del nuovo usurpatore Stato.
Sostanzialmente la Chiesa non riconosceva lo Stato italiano, e invitava i suoi più ferventi fedeli a non votare nemmeno. Questa situazione, che si trascinò fino ai Patti Lateranensi del 1929 di Mussolini (da cui ci siamo beccati i crocifissi nelle scuole, tra le altre cose) permise una inedita libertà di azione alla politica italiana post-unitaria. Per semplificarla: gli amministratori non dovevano tener conto più di tanto del voto ultra-cattolico, perché il voto ultra-cattolico si escludeva da solo comunque dall’andare a votare. Un margine di azione laica che forse non abbiamo nemmeno oggi.
Margine d’azione che si concretizzò praticamente subito. Il secondo sindaco di Verona italiana, Giulio Camuzzoni, governò 15 anni e una delle prime cose che fece fu ribattezzare via Asilo di Mendicità in via Carlo Montanari (eroe risorgimentale veronese, morto impiccato dagli austriaci vent’anni prima). Questo fu solo l’inizio di un’opera di rinomina di vie e piazze veronesi volte a glorificare personaggi risorgimentali, spesso a danno di santi di ogni tipo:
- Via San Fermo di Cort’alta diventò via Garibaldi
- Via Campo Marzio diventò via Campofiore (più pacifica e ricordava meno gli austriaci)
- Corso San Giovanni in Foro diventò Corso Porta Borsari
Provate ad immaginare le reazioni degli ultra-cattolici di fronte a queste eresie. Ma non avevano ancora visto niente.
Dal 1887 infatti la maggioranza della giunta veronese passò alla sinistra storica, più anticlericale del liberale Camuzzoni e che quindi aveva meno esitazioni a tirare via qualche santo dalle strade. Sotto la loro amministrazione ci fu un grosso dibattito volto al nome da dare ad una strada importantissima che partiva da Porta Vescovo, si chiamava via di mezzo Porta Vescovo. I più moderati volevano chiamarla via Roma, i più arditi via XX Settembre, in memoria del giorno della presa di Roma, quindi del giorno in cui si sancì la fine del potere temporale dei Papi.
Il dibattito fu accesissimo e vinse la seconda proposta. Fu una provocazione immonda per il cattolicesimo conservatore veronese. La prossima volta che passate per via XX Settembre pensateci, state camminando su un’eresia. Ma il meglio doveva ancora arrivare. Doveva ancora arrivare una sinistra ancora più ideologica e radicale.
Questa arrivò al governo della città nel 1907, e la governò fino alla prima guerra mondiale. Era definita la giunta bloccarda perché era composta da un blocco di socialisti, radicali e repubblicani (e ricordiamo come l’Italia all’epoca fosse una monarchia). Questi sui nomi delle vie si scatenarono senza ritegno.
Una proposta ritenuta inaccettabile dagli ambienti conservatori fu quella di rinominare via Nuova in via Mazzini. Ci furono proteste intense, si diceva che intitolare una via a Mazzini sarebbe stato offensivo nei confronti della tradizione cattolica veronese. Uno scandalo, ma si fece. Non sazia, la giunta bloccarda si rese conto di come fosse rimasta una viuzza parallela con il nome “via dietro via Nuova”, che senso aveva adesso? Cambiata anche quella in via Alberto Mario, in onore di un fervente garibaldino che fu definito dai clericali veronesi “un bestemmiatore”. I socialisti risposero che anche molti Papi lo furono.
Ma la foga dell’amministrazione andò oltre quando propose e votò la rinomina di via Arcivescovado in via Ferrer-Guardia, un rivoluzionario catalano fucilato in Spagna in quegli anni. A questo punto il clima era diventato impossibile. Cattolici, Vescovo, conservatori, monarchici: tutti contro la giunta. Intervenne Giolitti in persona e alla fine si bloccò tutto.
In compenso, nasceva in quegli anni un nuovo quartiere alle spalle dell’Arsenale, e la necessità di nominare nuove strade fu presa al volo dalla giunta, che ebbe modo di sfogarsi un po’.
In Borgo Trento, nel giro di qualche isolato troviamo infatti le vie: Mameli, Bixio, Anita Garibaldi, dei Mille, Caprera, Aspromonte.